Arte Plurale

9 Maggio 2013
Articolo modificato: 20 Dicembre 2022

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Conosco Federico Bambini da due anni perché, lo seguo come educatrice durante le ore scolastiche. Ho fin dai primi mesi colto in lui una capacità di espressione in termini grafici e di colori potente e così abbiamo avviato un percorso di illustrazioni insieme ma purtroppo fuori dalla classe perché troppo numerosa per lui.

Quando mi si è presentata l’occasione attraverso Giustino Caposciutti della creazione al plurale di un’opera d’arte da esporre alla Manifestazione Internazionale “ARTE PLURALE”, ho fatto un passo indietro come artista e ho proposto a dei ragazzi della classe di Federico di essere loro i giovani artisti e di creare un gruppo di lavoro e così è stato.

Oltre a Federico che è un ragazzo con autismo abbiamo coinvolto altri due ragazzi con difficoltà, in tutto 8 ragazzi che per un paio di mesi una volta a settimana si sono ritrovati per creare un’opera insieme.

Il professore Sergio Poddighe di discipline pittoriche, ha messo a disposizione le sue ore ed il suo occhio attento di artista per orientarli in termini tecnici; la professoressa di sostegno Maria Grazia De Giudici ha messo la sua più completa disponibilità nell’organizzare, trovare materiali e motivare i ragazzi; io mi sono messa nella posizione di conduttrice del gruppo invitando i ragazzi ad ascoltarsi l’uno con l’altro, a trovare il coraggio di esprimere il proprio talento e il proprio sogno, a prendersi uno spazio nel pannello come nel mondo…

Quello che è successo da questo momento in poi non è facilmente raccontabile: il professor Poddighe ha suggerito loro un’immagine della terra con tre scale a pioli che tendono ad una luna troppo lontana da raggiungere come metafora di questi tempi dei giovani d’oggi e soprattutto delle maggiori difficoltà che i ragazzi disabili hanno nel realizzare i propri sogni.

Io mi sono inserita successivamente chiedendo ai ragazzi uno sforzo maggiore, uno slancio verso la luna verso l’ascolto di se stessi e di chi gli stava attorno, ho chiesto loro di darsi la possibilità di sognare cosa che oggi i ragazzi purtroppo credono “un pericolo da evitare”.

Così è stato…per prima cosa hanno ribaltato il pannello e quella che era una terra pesante e ingombrante, si è trasformata in una luna gigante materica illuminata da sale colorato dalle sfumature di arcobaleno. La terra è diventata piccola e urlante come il loro desiderio di esserci.

Il lavoro ha preso avvio con una sorta di “assistenzialismo” nei confronti dei ragazzi disabili poi nel tempo, stimolati tutti ad accorgersi l’uno dell’altra, ad ascoltare i silenzi ad osservare i gesti di ognuno, il clima è cambiato: quando ognuno si è dovuto cimentare col proprio spazio e con il proprio slancio verso la luna, incredibilmente, ognuno è diventato DIVERSAMENTE ABILE da chi gli stava accanto. I loro mondi si sono accavallati intrecciati a volte scontrati…c’è stato chi ha trovato immediatamente la sua mano, il suo sogno, chi ne ha avuto paura fino all’ultimo istante, chi pur di non affrontarlo si è occupato di quello degli altri, chi ha dichiarato apertamente che è meglio non tendere a niente per salvaguardarsi, chi alla luna ci arriva in macchina su una strada larga e agiata…chi non ha bisogno della luna perché sta bene sul suo pianeta.

Quando l’opera è terminata il clima era cambiato, la consapevolezza di ognuno era cambiata, il modo di porsi verso gli altri e verso i propri sogni era cambiato.

Al di là del valore estetico dell’opera credo che il suo valore esperienziale sia stato incommensurabile.

L’OPERA S’INTITOLA “VOGLIAMO TENERE I PIEDI SULLA LUNA”.

 

Benedetta Piantini

 

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